Responsabilità medica dopo la legge Balduzzi, nuova decisione del Tribunale di Milano, conforme a nuovo orientamento

Responsabilità medica dopo la legge Balduzzi, nuova decisione del Tribunale di Milano, conforme a nuovo orientamento

Tribunale di Milano
Sezione I Civile
Sentenza 31 gennaio 2015
(Est. Patrizio Gattari)
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il processo e le domande oggetto di causa
W ha convenuto in giudizio la struttura sanitaria privata .. s.r.l. esponendo: nel novembre del 2009 si era rivolto alla struttura sanitaria convenuta per essere sottoposto ad intervento di iridectomia laser finalizzato alla correzione chirurgica della miopia ad entrambi gli occhi; dopo il primo intervento all’occhio destro, eseguito senza problemi circa un mese prima, il 3/12/2009 era stato programmato l’intervento all’occhio sinistro da parte della stessa equipe medica guidata dal dott. ..; tuttavia l’intervento all’occhio sinistro non era stato eseguito poiché nel somministrare l’anestesia era stato perforato il bulbo oculare ed erano state provocate lesioni che avevano reso necessario il trasferimento del paziente presso l’Ospedale .. di Milano; l’attore era rimasto ricoverato fino all’11 dicembre al .. ed aveva subito un intervento chirurgico da parte dei sanitari di tale nosocomio per tentare di rimediare all’errore dei medici della ..; in seguito l’attore era stato costretto a nuovi ricoveri presso il .. e a sottoporsi ad altri interventi chirurgici; l’attore aveva subito un grave danno alla salute per l’errata manovra preoperatoria posta in essere dai sanitari della struttura convenuta i quali, nell’eseguire l’iniezione/infiltrazione anestetica, avevano incautamente provocato lesioni all’occhio sinistro; inoltre l’attore non era stato compiutamente informato sulla scelta dei sanitari di praticare l’anestesia mediante iniezione all’interno dell’occhio anziché con la semplice applicazione di gocce; la struttura sanitaria convenuta era responsabile dei danni subiti dall’attore sia per il periodo di malattia che ne era derivato, sia per le sofferenze subite, sia per i postumi invalidanti di carattere permanente che residuavano, sia infine perché costretto a interrompere per tre mesi l’attività di infermiere che svolgeva.
Su tali premesse l’attore chiedeva la condanna della struttura sanitaria convenuta a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali causati dai medici nella fase preoperatoria descritta .
Si è costituita ritualmente la … s.r.l. esponendo: dopo il primo intervento all’occhio destro eseguito senza complicanze, il 3/12/2009 il paziente doveva essere sottoposto al secondo intervento da parte della stessa equipe guidata dallo specialista dott. ..; il paziente era stato preparato dal personale ed accolto dall’anestesista dott. ..; secondo quanto descritto in cartella dall’anestesista, durante l’iniezione dell’anestetico il paziente aveva effettuato un movimento inconsulto e incoercibile che aveva comportato la non perfetta esecuzione dell’iniezione e determinato una emorragia sottocongiuntivale; la stessa anestesia era già stata praticata all’attore in occasione del primo intervento all’occhio destro; purtroppo un improvviso movimento del paziente nonostante le raccomandazioni dell’anestesista aveva determinato la complicanza, pure prevista nel modulo di consenso informato all’anestesia sottoscritto; non vi era stato nessun deficit informativo e il consenso del paziente era stato raccolto dalla struttura sanitaria; subito dopo l’accaduto lo stesso chirurgo dott. .. aveva contattato il … ed aveva poi accompagnato il paziente presso tale struttura, restando sempre in contatto nei giorni successivi con il paziente e con i sanitari del ..; unico responsabile del danno lamentato dall’attore era l’anestesista dott. G dal quale la struttura sanitaria pretendeva di essere manlevata in caso di soccombenza. Pertanto la convenuta .. .. chiedeva l’autorizzazione a chiamare in causa il dott. G e concludeva per il rigetto della domanda dell’attore e, in subordine, la condanna del medico a manlevare e tenere indenne la struttura sanitaria.
Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva il dott. G il quale nel merito deduceva: la perforazione del bulbo oculare e la conseguente emorragia sottocongiuntivale erano state determinate da un improvviso movimento del capo eseguito dal paziente e che l’anestesista non poteva prevedere né impedire; a seguito delle cure ricevute presso il .. il paziente non presentava postumi permanenti; ove fossero stati ravvisati profili di responsabilità del dott. G essi erano addebitabili alla struttura sanitaria presso cui il sanitario aveva operato; la domanda di manleva avanzata nei confronti del medico dalla società convenuta era infondata; in ogni caso il sanitario era assicurato per la responsabilità civile verso terzi presso la Assicuratrice .. dalla quale aveva diritto di essere garantito in caso di soccombenza. Il terzo chiamato G chiedeva a sua volta di essere autorizzato ad estendere il contraddittorio al proprio assicuratore e concludeva nel merito chiedendo il rigetto della domanda avanzata nei suoi confronti e, in subordine, di condannare l’assicuratore terzo chiamato a tenerlo indenne in casi di soccombenza.
Esteso il contraddittorio anche alla Assicuratrice .. s.p.a., tale parte si costituiva facendo proprie le deduzioni dell’assicurato relative all’esonero da responsabilità e all’infondatezza della domanda avanzata nei confronti del professionista dalla struttura sanitaria convenuta. Inoltre, la compagnia assicuratrice deduceva che l’assicurato aveva stipulato una polizza a “secondo rischio” e che pertanto avrebbe potuto invocare la copertura assicurativa solo nel caso in cui la copertura assicurativa derivante dalla polizza della struttura sanitaria fosse risultata insufficiente. L’assicuratore terzo chiamato concludeva pertanto per il rigetto della domanda avanzata nei suoi confronti dall’assicurato.
L’istruttoria si è esaurita nell’acquisizione dei documenti prodotti dalle parti e nell’espletamento di CTU collegiale, all’esito della quale il dott. .. (specialista in medicina legale) e il dott. .. .. (specialista in oculistica) hanno depositato il 15/7/2013 una relazione scritta con allegate le osservazioni critiche delle parti.
A seguito del deposito della relazione da parte dei CTU le parti concordemente chiedevano di fissare l’udienza per la precisazione delle conclusioni, quindi implicitamente rinunciando alle prove costituende dedotte nelle memorie ex art. 183 comma 6 e sulle quali il giudice aveva riservato ogni decisione all’esito della CTU.
All’udienza del 16/7/2014 le parti hanno precisato le conclusioni sopra richiamate e, scaduti i termini ordinari concessi per il deposito degli scritti conclusivi, la causa è entrata in decisione.
2. La domanda di risarcimento danni avanzata dall’attore
W chiede il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che deduce di aver subito in conseguenza dell’inadempimento contrattuale da parte della .. s.r.l. delle prestazioni sanitarie oggetto del contratto concluso e dell’obbligo di acquisire il pieno consenso del paziente prima di procedere ai trattamenti sanitari programmati: in particolare secondo la prospettazione dell’attore la controparte sarebbe inadempiente sia per la scelta di praticare l’anestesia mediante un’iniezione nell’occhio, sia per l’errata modalità con cui sarebbe stata praticata l’anestesia durante la fase preparatoria dell’intervento chirurgico programmato per il 3/12/2009, sia inoltre per non aver fornito al paziente una piena informazione sui trattamenti sanitari programmati e sulle prevedibili complicanze.
L’attore ha convenuto in giudizio esclusivamente la struttura sanitaria deducendo i suddetti inadempimenti.
Come noto, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza avallato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 1/7/2002 n. 9556 e sent. 11/1/2008 n. 577), il rapporto che lega la struttura sanitaria (pubblica o privata) al paziente ha fonte in un contratto obbligatorio atipico (cd contratto di “spedalità” o di “assistenza sanitaria”) che si perfeziona anche sulla base di fatti concludenti – con la sola accettazione del malato presso la struttura (Cass. 13/4/2007 n. 8826) – e che ha ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ed accessorie (fra cui prestare assistenza al malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.).
Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni – esercenti professioni sanitarie e personale ausiliario – e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi soggetti. Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Inoltre, a fronte dell’inadempimento dedotto dall’attore – come causa del danno di cui chiede il risarcimento – è onere del debitore convenuto (struttura sanitaria) provare di aver esattamente adempiuto le sue prestazioni o che il danno lamentato da controparte non gli è imputabile. Al riguardo la Suprema Corte ha precisato che “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria (…), ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante” (Cass. Sez. Un. 11/1/2008 n. 577).
La responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria come responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. non muterebbe natura neppure qualora si volesse invece ritenere che per le strutture (pubbliche o private convenzionate) inserite nel S.S.N. l’obbligo di adempiere le prestazioni di cura e di assistenza derivi direttamente dalla legge istitutiva del Servizio Sanitario (L. n. 833 del 1978), come pure da taluni sostenuto. Anche secondo tale impostazione, infatti, la responsabilità andrebbe comunque ricondotta alla disciplina dell’art. 1218 c.c., al pari di ogni responsabilità che scaturisce dall’inadempimento di obbligazioni derivanti da “altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento” (art. 1173 c.c.).
In ogni caso, la struttura sanitaria convenuta dal danneggiato è dunque responsabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. per il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento (o dall’inesatto adempimento) di una delle prestazioni a cui è direttamente obbligata.
Occorre altresì precisare che sulla disciplina della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria non incide l’art. 3 della L. 189/2012 (“legge Balduzzi”) in quanto l’impatto della norma è apprezzabile esclusivamente con riguardo alla responsabilità professionale dei singoli sanitari incardinati all’interno della struttura sanitaria e non legati al paziente danneggiato da alcun vincolo contrattuale (diverso ed ulteriore rispetto a quello intercorrente fra il paziente e la struttura sanitaria).
Come infatti già affermato da questo tribunale in varie pronunce alle quali si fa espresso rinvio per una più compiuta ricostruzione dello statuto della responsabilità sanitaria dopo l’entrata in vigore della cd legge Balduzzi (vd, in particolare, Trib. Milano sent. n. 9693 del 23 luglio 2014, in Foro It. 2014, 11, I, 3294), sulla base dell’ambito applicativo e della interpretazione dell’art. 3 comma 1 L. 189/2012 che si ritiene preferibile (come esplicitato nella suddetta sentenza richiamata), l’articolato sistema della responsabilità civile in ambito sanitario può essere così sintetizzato:
 l’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale (anche se nell’ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d’opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall’art. 1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi;
 il richiamo nella norma suddetta all’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. per l’esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c. dell’inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall’operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (art. 1228 c.c.);
 il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l’obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare);
 in ogni caso l’alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico “ospedaliero”, che deriva dall’applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (art. 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo “contrattuale” ex art. 1218 c.c. (sia che si ritenga che l’obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di “spedalità” o “assistenza sanitaria” con la sola accettazione del paziente presso la struttura);
 se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare;
 se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale l’autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il “fatto dannoso” (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell’art. 2055 c.c. (cfr., fra le altre, Cass. 16/12/2005, n. 27713);
Dal momento che nel caso in esame, come detto, l’attore ha agito in giudizio unicamente nei confronti della struttura sanitaria facendo valere l’azione derivante dall’inadempimento del contratto di spedalità concluso con la convenuta, la domanda di risarcimento danni non si estende automaticamente al medico terzo chiamato, che non è parte del contratto di spedalità ma solo uno dei soggetti di cui il debitore (struttura sanitaria) si è avvalso per eseguire le prestazioni dovute. Il professionista terzo chiamato in causa con l’azione di regresso dalla convenuta … … s.r.l. viene indicato come responsabile esclusivo della condotta causativa del danno alla salute subito dal paziente/creditore e, in quanto tale, secondo la prospettazione della difesa convenuta sarebbe obbligato a tenere indenne la struttura sanitaria in caso di soccombenza. Peraltro, l’attore non ha neppure esteso tempestivamente – prima del maturare della preclusione assertiva e della cristallizzazione del “thema decidendum” coincidente nel caso concreto con la scadenza dei termini concessi per il deposito di memorie ex art. 183 comma 6 – la pretesa risarcitoria nei confronti del terzo chiamato e la domanda in tal senso avanzata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (vd foglio di conclusioni) è chiaramente tardiva e inammissibile.
3. La responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria convenuta
Iniziando dall’esame del dedotto inadempimento relativo all’acquisizione del consenso informato da parte del paziente, tale doglianza dell’attore non è fondata. Infatti, i moduli di consenso sottoscritti e prodotti in giudizio risultano completi anche in relazione all’anestesia, alle modalità in cui essa poteva sarebbe somministrata e alle prevedibili complicanze. Inoltre, non può certo essere trascurato che l’attore svolgeva l’attività di infermiere – per cui è ragionevole presumere che fosse a conoscenza del diritto di ricevere informazioni complete sui trattamenti ai quali sarebbe stato sottoposto e che fosse in grado di comprendere meglio di un quisque de populo i moduli di consenso sottoscritti – e che analoghe prestazioni (in particolare la stessa anestesia) gli erano già state praticate in occasione dell’intervento all’altro occhio avvenuto circa un mese prima.
A diverse conclusioni deve invece giungersi in relazione all’ulteriore inadempimento dedotto dall’attore a sostegno della domanda.
Sulla base dei documenti prodotti dalle parti, di quanto allegato dall’attore e non contestato specificamente dal convenuto, nonché in particolare delle risultanze della C.T.U. (vd relazione depositata il 15/7/2013), risulta infatti provato che: l’attore è stato sottoposto presso la struttura sanitaria convenuta a “doppia iridotomia laser in entrambi gli occhi come preparazione all’intervento programmato di impianto di lente fachica”; l’impianto di lente all’occhio destro è stato eseguito il 19/11/2009, mentre quello all’occhio sinistro programmato per il 3/12/2009 non è stato effettuato perché “si è verificata la perforazione del bulbo oculare durante l’esecuzione dell’anestesia loco-regionale”, che costrinse i sanitari della .. a trasferire il paziente presso il .. ..; “l’impianto di lente fachica non è un intervento di speciale difficoltà”, come pure l’esecuzione della anestesia peribulbare (pur potendo essa in un soggetto miope elevato presentare qualche difficoltà tecnica per la conformazione del bulbo oculare); “la decisione di eseguire un’anestesia peribulbare in un miope elevato (…) non è stata assunta dal dott. G ma dal chirurgo dott. ..”; “il dott. G – medico anestesista – non ha istituzionalmente le competenze, strettamente oftalmologiche, per fronteggiare una complicanza oculare da anestesia peribulbare”; “nei rari casi di chirurgia del segmento anteriore in cui può essere assolutamente necessario eseguire un’anestesia loco-regionale oculare, è lo stesso chirurgo oftalmico che esegue l’anestesia”; “nel caso in esame è stato il dott. .. che ha scelto la procedura anestesiologica ad alto rischio di complicanze oculari affidandone l’esecuzione al medico anestesista”; “la chirurgia implantologica a scopo rifrattivo come quella prevista nel caso in esame, all’epoca dei fatti – dicembre 2009 – veniva eseguita in anestesia topica, cioè con la sola instillazione di gocce, senza infiltrazione”; “dalla documentazione sanitaria in atti non è possibile comprendere in base a quali elementi il chirurgo abbia scelto l’anestesia locale infiltrativa ed abbia deciso di far eseguire l’iniezione all’anestesista”; dopo l’errata esecuzione dell’anestesia da parte dei sanitari della struttura convenuta, il paziente è stato subito trasferito al .. dove è stato “sottoposto ad intervento di vitrectomia per emovitreo e distacco di retina da perforazione bulbare con impianto di olio di silicone (…); “ha poi sviluppato una cataratta che è stata operata sempre presso il ..”; “gli esiti anatomici e funzionali a carico dell’occhio sinistro del W sono la diretta conseguenza della procedura di anestesia infiltrativa eseguita dal dott. G su indicazione del dott. ..” (vd relazione tecnica da p. 11 a p. 15).
In siffatta situazione è evidente che il personale sanitario ha fatto scelte errate ed ha malamente eseguito le prestazioni dovute dalla … in base al contratto di spedalità: in primo luogo è stata scelta (dal chirurgo capo equipe) una modalità di somministrare l’anestetico particolarmente rischiosa, diversa dall’anestesia topica (instillazione di gocce) comunemente praticata e consigliata in casi analoghi e senza nessuna ragione che possa far ritenere giustificata siffatta scelta; inoltre l’infiltrazione anestetica non è stata praticata dal chirurgo ma fatta eseguire dall’anestesista.
Si è detto che la responsabilità della struttura per i danni che si verificano in ambito sanitario è una responsabilità che scaturisce dall’inadempimento e/o dall’inesatto adempimento di una delle varie prestazioni (non necessariamente di quella principale come nel caso di specie) che è direttamente obbligata ad eseguire in base al contratto atipico concluso con il paziente. Ai fini della diretta riferibilità ex artt. 1218-1228 c.c. delle conseguenze risarcitorie dell’illecito non assume particolare rilevo che la struttura sanitaria (solitamente un ente collettivo, pubblico o privato) nell’adempimento delle sue obbligazioni si avvale necessariamente – deve avvalersi per l’esecuzione delle prestazioni strettamente sanitarie di particolari figure professionali abilitate (le sole che possono eseguire tali prestazioni) – di propri dipendenti o di collaboratori esterni. Ne deriva che la struttura sanitaria per essere esonerata dalla responsabilità contrattuale verso il paziente non può utilmente invocare la condotta illecita del proprio dipendente o collaboratore – individuato come responsabile (corresponsabile) dalla stessa struttura o dal danneggiato – ma è tenuta a fornire nel processo la prova positiva che l’inadempimento non le è imputabile.
Nel caso di specie non solo la struttura sanitaria non ha neppure tentato di provare di aver esattamente adempiuto o che il danno subito dall’attore non gli sarebbe imputabile, ma vi è la prova in atti dell’inadempimento della prestazione principale ed è quindi tenuta ex artt. 1218-1228 c.c. a risarcire integralmente i danni derivati dall’operato dei propri dipendenti e collaboratori (fra i quali il dott. G) di cui si è avvalsa per adempiere le obbligazioni.
4. I danni subiti dall’attore
4.1 Il danno non patrimoniale
Dall’illecito descritto, avvenuto il 3/12/2009, l’attore W (nato il ….1974) ha subito lesioni che hanno comportato un periodo di malattia e la necessità di subire ulteriori periodi di ricovero presso il …, ove è stato sottoposto alle cure necessarie per tentare di porre rimedio ai danni subiti presso la struttura sanitaria convenuta, senza tuttavia riuscire ad impedire che residuassero postumi invalidanti di carattere permanente.
Dalla relazione dei CTU risulta infatti che: nonostante le cure e gli interventi riparatori eseguiti dai sanitari del .. (dove il paziente venne condotto subito dopo l’errata esecuzione delle prestazioni mediche sopra descritte) residua all’occhio sinistro un “astigmatismo miopico semplice dopo la correzione del quale raggiunge un visus di 6/10; la pseudofachia ha privato quest’occhio dell’accomodazione (…); il quadro anatomico è la conseguenza dello sfavorevole esito della procedura anestesiologica ed in particolare lacicatrice crioretinicae la presenza di una membrana epiretinica che determina lieve metamorfopsia per vicino; la cicatrice retinica è responsabile anche dell’alterazione emianoptica temporale” (p. 14 della relazione tecnica in atti).
Secondo il condivisibile responso dei C.T.U., l’inadempimento attribuibile alla struttura sanitaria convenuta ha comportato per il danneggiato una maggior durata della malattia – rispetto al periodo che un paziente con analoga patologia e nelle medesime condizioni soggettive avrebbe comunque sopportato per l’intervento programmato – con temporanea totale inabilità alle ordinarie occupazioni per 14 giorni e parziale per ulteriori 40 giorni (10 giorni al 75%, 15 giorni al 50% e 15 giorni al 25%); inoltre, i postumi residuati concretizzano un danno all’integrità psico-fisica dell’attore di natura esclusivamente iatrogena pari al 10 % (vd p. 15 e 16 della relazione in atti).
Pur ritenendosi che il criterio legale previsto dall’art. 3 comma 3 della legge Balduzzi – ove si fa espresso richiamo alle tabelle degli artt. 138 e 139 del cod. ass. per la liquidazione del danno biologico conseguente alla responsabilità professionale dell’esercente una professione sanitaria – trova applicazione anche in relazione ai fatti dannosi verificatisi prima dell’entrata in vigore di tale legge (come già affermato in precedenti pronunce di questo tribunale alle quali si rinvia), la mancata adozione della tabella prevista dall’art. 138 per le cd macropermanenti (menomazioni dell’integrità psico-fisica comprese tra 10 e 100 punti) rende impossibile procedere nel caso concreto alla liquidazione del danno secondo il criterio legale (allo stato applicabile solo alle cd micropermanenti previste nella tabella adottata ex art. 139).
Occorre pertanto fare applicazione nel caso di specie delle note tabelle elaborate da questo tribunale, comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex artt. 1226-2056 c.c. del danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità psico/fisica e che rappresentano un criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte, la quale l’ha ritenuto applicabile sull’intero territorio nazionale in assenza di un diverso criterio legale per la liquidazione del danno alla persona (vd Cass. 7/6/2011 n. 12408).
A fronte delle riferite conclusioni della CTU, sulla base delle richiamate tabelle giurisprudenziali di liquidazione equitativa del danno alla persona il pregiudizio da temporanea può quantificarsi in moneta attuale in complessivi euro 3.930,00, mentre quello permanente – tenuto conto dell’età (35 anni) del danneggiato all’epoca dei fatti e dell’entità del gradiente invalidante di origine iatrogena riscontrato dai CTU (10%) – può essere monetizzato all’attualità in complessivi euro 22.910,00.
Il danno alla salute sopra indicato non esaurisce l’intero danno non patrimoniale risarcibile al danneggiato.
Si ritiene infatti che taluni apprezzabili aspetti (o voci) che vengono in rilievo e che da tempo sono solitamente ricondotti dalla giurisprudenza prevalente nella unitaria categoria generale del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), non risulterebbero adeguatamente risarciti con la sola applicazione nel caso concreto dei predetti valori monetari della tabella.
Per l’integrale risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dall’attore è infatti necessario procedere ad una adeguata “personalizzazione”, avendo riguardo a quei profili riconducibili alla sofferenza soggettiva, ai pregiudizi alla vita di relazione e ai riflessi negativi sulle abitudini di vita che possono ritenersi sussistenti in relazione alle conseguenze dell’errato intervento chirurgico. Il danneggiato è stato costretto a sottoporsi ad altri ricoveri ospedalieri presso il … e a subire altri interventi chirurgici all’occhio sinistro, resi necessari dalle conseguenze delle lesioni provocate dai sanitari della .. (vd 7, 8 e 9 della relazione tecnica), con evidente riflesso negativo sulla sua vita di relazione avendo dovuto rinunciare a svolgere per un apprezzabile periodo di tempo anche talune comuni attività che caratterizzano la vita di un soggetto della sua età.
Alla luce di tali considerazioni e per addivenire ad un integrale risarcimento che tenga conto dei vari aspetti che concorrono nella individuazione del composito danno di cui si discute – senza discostarsi dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità che richiama ad una liquidazione unitaria del danno alla persona, onde evitare inammissibili duplicazioni di poste risarcitorie (fra le altre, Cass. Sez. Un. 11/11/2008 n. 26972; Cass.20/11/2012 n. 20292 e Cass.23/1/2014 n. 1361) – si ritiene di “personalizzare” il danno subito dall’attore aumentando la somma suddetta risultante dall’applicazione delle tabelle (euro 26.840,00) fino ad euro 30.000,00, che costituisce quindi il complessivo danno non patrimoniale risarcibile liquidato al valore attuale dalla moneta.
4.2 Il danno patrimoniale
L’attore non ha provato di aver subito un danno emergente in conseguenza dei fatti oggetto di causa, né è ravvisabile nel caso concreto un danno patrimoniale futuro risarcibile.
La perdita economica dedotta in citazione e relativa al fatto che in conseguenza delle lesioni oggetto di causa l’attore sarebbe stato costretto a sospendere per tre mesi la sua attività di infermiere è rimasta priva di qualsiasi sostegno probatorio e dalla relazione dei CTU risulta che i postumi invalidanti subiti non hanno incidenza sulla sua capacità lavorativa specifica (vd p. 15 della relazione).
Inoltre, l’intervento di chirurgia vitreoretinica a cui l’attore dovrà probabilmente sottoporsi per la presenza della membrana epiretinica – secondo quanto riferito dagli ausiliari (vd p. 16 della relazione) – può essere eseguito presso le strutture del S.S.N., per cui non può essere riconosciuta a titolo di danno la somma necessaria per effettuare tale intervento in una struttura sanitaria privata.
Infine, l’attore non deduce neppure di aver subito un danno patrimoniale (lucro cessante) per il mancato tempestivo risarcimento del danno (vd domanda).
Pertanto l’unico danno che l’attore ha diritto di vedersi risarcito è rappresentato dal danno non patrimoniale di euro 30.000,00, liquidato equitativamente al valore attuale della moneta e non soggetto a rivalutazione.
Trattandosi di debito di valore non spettano i cd interessi compensativi dalla data dell’illecito – secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 17/2/1995 n. 1712) – e, come detto, l’attore non ha neppure dedotto l’esistenza nel caso concreto di un danno da ritardato risarcimento del danno.
Sull’intero danno liquidato al creditore/danneggiato sono invece dovuti dalla responsabile struttura sanitaria convenuta gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
4.3 Il complessivo danno risarcibile e la condanna della struttura sanitaria
L’unico danno risarcibile provato dall’attore è dunque costituito dal danno non patrimoniale come sopra liquidato; la … s.r.l. va pertanto condannata a pagare all’attore a titolo di risarcimento del danno la somma complessiva di euro 30.000,00 oltre interessi legali dalla presente sentenza al saldo.
5. L’azione di regresso della struttura sanitaria nei confronti del medico terzo chiamato
La .. s.r.l. ha chiamato in causa il dott. G chiedendo, in via subordinata, la condanna del medico a manlevare e tenere indenne la struttura sanitaria in caso di soccombenza.
A fondamento della domanda avanzata nei confronti del terzo chiamato, sin dalla comparsa costitutiva la società convenuta deduce che, ove fosse ravvisata una sua obbligazione risarcitoria nei confronti del paziente per inadempimento del contratto di spedalità, lo specialista (anestesista) che ha tenuto la condotta lesiva mentre esercitava la sua attività presso la clinica in regime di libera professione, sarebbe responsabile esclusivo del danno subito dall’attore e in quanto tale obbligato a manlevare e a tenere indenne la struttura sanitaria.
La domanda della struttura sanitaria privata va ricondotta nel caso concreto al disposto dell’art. 2055 c.c., in base al quale se più soggetti sono responsabili di un unico evento dannoso, tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno nei confronti del danneggiato, a prescindere che la fonte della responsabilità risarcitoria sia per tutti di natura extracontrattuale o che invece, come nel caso di specie, taluno sia responsabile per inadempimento di un preesistente rapporto obbligatorio derivante da un contratto concluso con il danneggiato mentre altri (terzi rispetto a tale contratto) siano invece tenuti al risarcimento in base alle comuni regole della responsabilità aquiliana per aver contribuito con la propria condotta illecita alla produzione del danno.
Giova altresì ricordare che, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “in materia di responsabilità civile, la parte evocata in giudizio per il risarcimento del danno può chiamare in causa altro corresponsabile al fine di esercitare il regresso contro di questi, per il caso di esito positivo dell’azione intrapresa dal danneggiato; in tale ipotesi, peraltro, il coobbligato solidale condannato a pagare l’intero al danneggiato può recuperare la quota riconosciutagli in sede di regresso contro l’altro obbligato solo dopo il pagamento da parte sua dell’intero debito, operando in tale caso l’estinzione dell’obbligazione come condizione non dell’azione cognitiva di regresso bensì dell’azione esecutiva contro l’altro obbligato (cfr., fra le altre, Cass. 15/1/2003 n. 490).
Essendo incontroverso che il medico terzo chiamato operava presso la … in regime di libera professione – senza quindi essere legato alla struttura sanitaria privata da un rapporto di lavoro subordinato né da uno stabile rapporto di collaborazione continuativa – la pretesa della società convenuta è disciplinata dall’art. 2055 commi 2 e 3 c.c., senza che il professionista possa invocare nel caso concreto limitazioni al diritto di rivalsa della struttura sanitaria basate sul contratto collettivo di categoria o sul contratto di collaborazione professionale concluso dalle parti. L’azione della struttura convenuta non si fonda infatti sul rapporto negoziale intercorso con il professionista, bensì sul diritto riconosciuto dall’ordinamento a ciascun corresponsabile di un evento dannoso di agire in regresso nei confronti degli altri per la ripartizione interna, sulla base della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze dannose che ne sono derivate (art. 2055 comma 2 c.c.).
Ora, poiché (come sopra ricordato) sulla base dell’indicazione contenuta nell’art. 3 comma 1 della Legge Balduzzi la responsabilità risarcitoria del medico – che non ha concluso nessun contratto con il paziente – per la condotta lesiva tenuta ai danni del paziente col quale è venuto in contatto presso la struttura sanitaria è ravvisabile solo qualora il comportamento del professionista integri un fatto illecito ex art. 2043 c.c., il soggetto che agisce in regresso ex art. 2055 c.c. è tenuto a provare gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana in capo al medico, sul quale pretende di riversare in tutto o in parte le conseguenze risarcitorie.
Nel caso concreto, sulla base delle allegazioni della convenuta non contestate espressamente dal terzo chiamato e delle sopra richiamate risultanze istruttorie, nell’operato del dott. G sono ravvisabili tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito (art. 2043 c.c.).
L’anestesista terzo chiamato ha infatti colpevolmente praticato l’iniezione/infiltrazione anestetica che avrebbe invece dovuto eseguire il chirurgo oculista (capo equipe) ed ha provocato la perforazione del bulbo oculare e le ulteriori conseguenze lesive descritte nella relazione tecnica e sopra richiamate.
Il dott. G ha quindi indubbiamente concorso alla produzione dell’evento lesivo subito dall’attore e la sua condotta è connotata da vari profili di colpa per negligenza ed imperizia: primo fra tutti quello di non essersi rifiutato di eseguire una rischiosa prestazione che non rientrava nelle sue competenze e poi di avervi malamente provveduto provocando lesioni al paziente.
Nell’aver eseguito una prestazione che esulava dalle sue competenze specialistiche e nell’aver provocato al paziente la perforazione del bulbo oculare è ravvisabile la condotta illecita del medico terzo chiamato, corresponsabile delle lesioni subite dall’attore e oggetto di causa.
Contrariamente all’assunto della struttura sanitaria convenuta, essa non può tuttavia pretendere di riversare sul terzo chiamato le intere conseguenze risarcitorie dell’illecito.
Dalla relazione tecnica risulta infatti che la condotta illecita del terzo chiamato è stata posta in essere perché il chirurgo capo equipe ha dapprima operato un’errata scelta del tipo di anestesia da praticare nel caso concreto ed ha poi fatto eseguire dall’anestesista l’iniezione/infiltrazione che avrebbe dovuto eseguire lui stesso.
In tale situazione, va ritenuta di pari grado l’efficienza causale delle condotte e la gravità delle rispettive colpe dei due professionisti, del cui operato la struttura sanitaria è direttamente responsabile ex art. 1228 c.c. per essersene avvalsa nell’adempiere le prestazioni a cui era tenuta. La condotta illecita del terzo chiamato si è inserita su una condotta parimenti illecita del chirurgo oculista il quale, come detto, dopo aver ritenuto opportuno (senza motivo) praticare un’anestesia rischiosa, diversa da quella comunemente praticata in casi analoghi – e consigliata dalla letteratura scientifica dell’epoca – ha poi sciaguratamente fatto eseguire la prestazione preoperatoria all’anestesista anziché provvedervi direttamente (come avrebbe dovuto secondo quando risulta pacifico dalla relazione dei CTU).
All’evento lesivo hanno dunque indubbiamente concorso sia il capo equipe (estraneo al processo) sia l’anestesista terzo chiamato.
Inoltre, nell’ambito dell’azione di regresso di cui si discute, non va trascurato che il danno alla salute provocato al paziente dal medico che opera (come dipendente o collaboratore) all’interno della complessa organizzazione di una struttura sanitaria privata costituisce un rischio tipico dell’attività di tale impresa. Dal momento che è la struttura sanitaria che compie le scelte ed organizza autonomamente le risorse materiali ed umane di cui deve necessariamente dotarsi per poter adempiere le prestazioni oggetto dei contratti di spedalità che conclude con i pazienti, essa non può pretendere sic et simpliciter di far ricadere in ogni caso sul dipendente/collaboratore il rischio della sua attività lucrativa. Per adempiere le prestazioni principali (che si obbliga direttamente ad adempiere in base al contratto atipico di spedalità) la struttura sanitaria privata deve avvalersi di professionisti – esercenti una professione “protetta” e gli unici che per legge possono eseguire determinate prestazioni – e non può trasferire sui propri “ausiliari” il rischio della sua attività d’impresa rappresentato dal pericolo di arrecare danni al paziente/creditore, inscindibilmente connesso al tipo di prestazioni da eseguire e ai beni primari della persona sui quali le condotte degli esercenti le professioni sanitarie sono destinate ad incidere.
In altri termini, l’impresa sanitaria tenuta ad adempiere le prestazioni oggetto del contratto di spedalità non può pretendere con l’azione di regresso di far ricadere integralmente le conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento sul proprio dipendente/ausiliario se non provando sia che la condotta del soggetto di cui si è avvalsa per adempiere ha concretato un fatto illecito (causativo del danno che la struttura sanitaria è tenuta a risarcire al paziente), sia che essa è stata la sola che abbia determinato l’evento dannoso, senza vi abbiano concorso altre condotte attive o omissive imputabili alla stessa impresa sanitaria che agisce in regresso (perché tenute da altri suoi dipendenti/collaboratori, come in caso di responsabilità di equipe, o perché riconducibili a carenze organizzative e/o gestionali dell’impresa sanitaria). Le condotte che a vario titolo possono contribuire alla produzione dell’evento lesivo subito dal paziente non legittimano certo la pretesa di riversare sul singolo corresponsabile anche quella percentuale di danno non riferibile alla condotta colposa del medico convenuto in regresso dalla struttura sanitaria: poiché “nel dubbio le singole colpe si presumono uguali” (comma 3 dell’art. 2055 c.c.), è dunque onere di chi agisce in regresso provare che al convenuto – corresponsabile verso il terzo danneggiato – è attribuibile l’integrale obbligazione risarcitoria o comunque una percentuale della stessa superiore a quella dell’attore, in ragione di una maggiore incidenza causale o di una maggiore gravità della colpa.
Nel caso concreto, come detto, pur risultando provata la corresponsabilità del medico terzo chiamato nel provocare il danno subito dall’attore, l’azione di regresso della struttura sanitaria non può essere accolta in misura superiore al 50% del danno che la convenuta è tenuta a risarcire, poiché almeno in uguale misura l’evento dannoso è stato provocato da una condotta parimenti colposa del chirurgo capo dell’equipe.
In parziale accoglimento della domanda di regresso, il medico terzo chiamato sarà pertanto tenuto a restituire alla struttura sanitaria la metà dell’importo complessivo che questa avrà pagato all’attore in base alla presente sentenza per l’illecito oggetto di causa.
6. L’azione di garanzia del medico contro l’assicuratore terzo chiamato
Infine, va altresì accolta la domanda di garanzia avanzata dal dott. G nei confronti del proprio assicuratore (terzo chiamato).
E’ incontroversa la validità e l’efficacia della polizza (n…) per la responsabilità professionale sottoscritta dal dott. G con Assicuratrice .. s.p.a. e tutte le eccezioni relative all’inoperatività della polizza nel caso concreto, sollevate dalla compagnia assicuratrice, sono infondate.
Innanzitutto l’assicuratore eccepisce che in base alla clausola 16 punto 2 l’assicurazione per la responsabilità professionale stipulata dal dott. G opererebbe nel caso di specie come polizza “a secondo rischio”, poiché il danno è stato causato dal medico assicurato nel corso di un’attività svolta all’interno di una struttura sanitaria.
Al riguardo è agevole replicare che, come sopra detto, nel caso concreto il medico assicurato operava come libero professionista e non era né dipendente della struttura sanitaria né legato alla stessa da uno stabile rapporto di collaborazione: tant’è che nella polizza prodotta dall’assicuratore è espressamente indicato che il medico svolgeva la sua attività come libero professionista.
Inoltre, la clausola 16 della polizza, unilateralmente predisposta dall’Assicuratrice .. e contenuta in condizioni generali di contratto, così come interpretato dall’assicuratore conterrebbe al punto 2 una limitazione della responsabilità di tale parte e sarebbe quindi vessatoria (art. 1341 comma 2 c.c.). Non essendo stata espressamente accettata per iscritto, la clausola in questione sarebbe dunque nulla e improduttiva di effetti per l’assicurato. In ogni caso, tale clausola non può essere interpretata nel senso sostenuto dall’assicuratore, poiché nel punto richiamato dalla difesa di tale parte (n. 2 sub lett. i) si riferisce chiaramente ai medici assicurati che svolgono la loro attività stabilmente inseriti (“all’interno”) in Asl, Case di cura, Enti ospedalieri o altre strutture sanitarie, e non anche ai medici liberi professionisti. Peraltro, al punto 3 della stessa clausola 16 è altresì previsto che la polizza “si intende operante in primo rischio” limitatamente alla “rivalsa” azionata dall’ente o dalla struttura ospedaliera nei confronti del medico assicurato (come nel caso di specie).
Da ultimo, poiché come noto a seguito del pagamento dell’indennizzo dovuto l’assicuratore si surroga all’assicurato (art. 1916 c.c.), ben potrà eventualmente l’Assicuratrice … far valere nei confronti della compagnia assicuratrice della struttura sanitaria convenuta (che ha agito in regresso contro il dott. G) il diritto di credito spettante all’assicurato.
Del tutto priva di rilievo risulta poi l’eccezione fondata sulla clausola n. 18 delle condizioni generali di polizza – laddove è esclusa la copertura assicurativa “per responsabilità imputabili esclusivamente ad assenza del consenso informato scritto” (doc. 2 dell’assicuratore terzo chiamato) – posto che nel caso concreto la responsabilità professionale dell’assicurato non deriva dalla mancanza di un consenso informato scritto.
Va pertanto condannata l’Assicuratrice .. s.p.a. a tenere indenne il proprio assicurato .. G dalla soccombenza e, quindi, a rimborsare al medico terzo chiamato quanto da tale parte dovuto alla società convenuta sulla base della presente sentenza anche a titolo di spese di lite (cfr. Cass. 20/11/2012 n. 20322 e Cass. 31/5/2012 n. 8686).
7. Le spese di lite
In applicazione del principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), la convenuta .. s.r.l. va condannata a rifondere all’attore le spese di lite, liquidate come in dispositivo in base allo scaglione in cui è compreso il credito risarcitorio riconosciuto al danneggiato e comprensive della quota di oneri di CTU anticipata dalla parte vittoriosa.
Il terzo chiamato G, soccombente sulla domanda di regresso, va invece condannato a rifondere le spese di lite in favore della … s.r.l., liquidate d’ufficio come in dispositivo in assenza di nota spese e sulla base del credito riconosciuto in via di regresso alla società convenuta.
Infine, sempre in base alla soccombenza l’assicuratore terzo è tenuto a rifondere le spese di lite in favore di G, anch’esse liquidate d’ufficio come in dispositivo in mancanza di nota spese, sulla base dei medesimi criteri suddetti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa promossa, con citazione notificata il 18/3/2011, da W nei confronti di .. s.r.l., con l’intervento dei terzi chiamati G e Assicuratrice … s.p.a., nel contraddittorio tra le parti, contrariis reiectis, così provvede:
1. in accoglimento della domanda di risarcimento danni avanzata dall’attore, condanna la convenuta … s.r.l. a pagare a W la somma complessiva di euro 30,000,00, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza al saldo;
2. in parziale accoglimento della domanda di regresso avanzata dalla struttura sanitaria convenuta, condanna il terzo chiamato G a pagare alla … s.r.l. la metà della somma complessiva pagata dalla società convenuta all’attore in base al capo che precede della presente sentenza;
3. in accoglimento della domanda di garanzia avanzata da G, condanna il terzo chiamato Assicuratrice …. s.p.a. a tenere indenne il predetto assicurato da ogni conseguenza patrimoniale derivante nei suoi confronti dalla presente sentenza;
4. condanna la convenuta .. s.r.l. a rifondere all’attore W le spese di lite liquidate in complessivi euro 8.615,00, di cui euro 1.415,00 per esborsi (compresa quota di oneri di CTU) ed euro 7.200,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge;
5. condanna il terzo chiamato G a rifondere alla convenuta .. s.r.l. le spese di lite liquidate in complessivi euro 4.800,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge;
6. condanna il terzo chiamato Assicuratrice .. s.p.a. a rifondere a G le spese di lite liquidate in complessivi euro 4.800,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge.
Così deciso in Milano il 31/1/2015.
Il Giudice
dott. Patrizio Gattari